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RADIO E TV LOCALI IN ESTINZIONE

Come il regime sta riducendo al silenzio le Voci Libere

In breve la storia del fenomeno Radio Libere dal 1975 ad oggi e delle avversità costruite ad arte dalla politica e dall’imprenditoria per imbavagliarle definitivamente.

1. “Gridare” più forte (la rincorsa alle grandi potenze)

Nel 1974 apparivano nell’etere italiano le prime radio libere. Per coprire una città bastavano appena 5-10 Watt di potenza. Oggi, nel 2002, le radio “private” (e non libere….) per spadroneggiare nell’FM utilizzano potenti trasmettitori che possono raggiungere persino 30.000 Watt di potenza, per coprire più o meno la stessa area di servizio (una città come Roma in 25 anni non ha modificato i propri confini!). Solo per fare un esempio, a Roma le prime emittenti radiofoniche irradiavano le proprie trasmissioni con potenze non superiori ai 50 Watt. Una fra le prime a comparire nell’etere romano, Radio Città Futura, con appena 50 Watt riusciva a farsi ascoltare persino a Sanremo !
La necessità, tutta da dimostrare, di utilizzare quelli che noi definiamo “veri e propri forni a radiofrequenza” è esclusivamente dettata dalla legge “del piu’ forte” che vuole a tutti i costi sopraffare il concorrente. Non solo. Questi potenti trasmettitori provocano oltre al cosiddetto inquinamento da Elettrosmog, anche quello atmosferico in quanto sono alimentati dall’energia elettrica la quale viene prodotta in larga parte dalla combustione dei derivati dal petrolio!
Le leggi promulgate in questi anni (dalla Mammì in poi) e il rilascio delle “concessioni-burla” (ne parleremo più avanti) non hanno assolutamente toccato gli interessi dei colossi dell’imprenditoria radiofonica, anzi ne hanno rafforzato la presenza, consentendo loro di continuare l’opera di “imbavagliamento” delle poche voci libere finora rimaste. Non è mai stato regolamentato l’uso delle potenze che invece dovrebbero essere di UGUALE grandezza per tutti i soggetti che operano nella radiofonia. Ma questa norma a garanzia della pari opportunità all’accesso ai mezzi di comunicazione, se fosse stata presente nella legislazione attuale, avrebbe senz’altro scatenato le ire degli imprenditori perchè avrebbe impedito loro di impossessarsi dell’etere e schiacciare la concorrenza. Tutti coloro (fra cui noi) che nella sentenza della Suprema Corte, nel 1976, avevano intravisto la possibilità di comunicare in modo diretto ed economico il proprio pensiero (diritto sancito dall’articolo 21 della Costituzione), invece, ora sono a rischio estinzione perchè il “libero mercato” mette in pericolo la “libertà di parola”. L’etere è quindi oggi governato da coloro che hanno investito ingenti capitali e che fanno dell’uso di potenze esagerate uno strumento di predominio assoluto dei mezzi di informazione, rendendosi quindi veri responsabili dell’inquinamento da Elettrosmog. Insomma vale la legge di chi “grida” più forte!

2. Questione Elettrosmog

Da alcuni anni si parla sempre con più insistenza del problema Elettrosmog. I recenti casi del superamento dei valori massimi di esposizione a Cesano (Roma) da parte di Radio Vaticana hanno dato un’impennata al problema. Senza parlare poi del continuo proliferare di antenne di telefonia mobile sui tetti dei palazzi che producono anche un effetto visivo assai discutibile. Emblematica è la lotta che da alcuni anni a questa parte si sono fatti promotori i genitori dei bambini che frequentano la Scuola “Leopardi” di Roma, situata nel verde del parco di Monte Mario. Un verde, però, che nasconde un rischio per la salute dovuto alla presenza di tralicci per le telecomunicazioni che si trovano a poche centinaia di metri dalle aule scolastiche, senza dimenticare anche il pessimo impatto ambientale che le antenne producono sul paesaggio. La nocività dell’esposizione ai campi elettromagnetici è in fase di studio e per ora è ritenuta solo sospetta. A Cesano (alle porte di Roma), comunque, si sarebbero riscontrati negli ultimi anni un numero assai maggiore di casi di cancro rispetto alla media nazionale e ciò viene attribuito al bombardamento di onde elettromagnetiche emesse dall’impianto trasmittente di Radio Vaticana. I Tribunali italiani, però non possono intervenire in quanto si tratta di mettere sotto accusa le antenne di uno Stato estero in zona extraterritoriale. La stessa Magistratura, nel contempo, non esita ad ordinare la disattivazione dei trasmettitori in Onde Medie della Rai (Servizio Pubblico) in località Santa Palomba, nei pressi di Roma. Da inizio marzo 2002 la Rai è stata costretta infatti ad interrompere le trasmissioni sulla frequenza di 846 kHz (che assicurava l’informazione degli italiani in Patria e all’estero). Un vero e proprio paradosso, se confrontato con il caso di Radio Vaticana che, invece continua a trasmettere! La psicosi da Elettrosmog sta letteralmente mettendo in agitazione i cittadini. In mancanza di dati certi sulla possibile nocività dei campi elettromagnetici è necessario comunque cautelarsi. Le norme legislative, che pongono l’Italia all’avanguardia nel mondo, stabiliscono in 6 Volt/metro il limite massimo di esposizione in luoghi dove la permanenza fisica di persone è superiore alle 4 ore, mentre 20 Volt/metro è il limite massimo consentito in luoghi non frequentati. Sono norme che vanno rispettate, anche se alcuni esponenti del Governo attuale vorrebbero alzare i limiti di esposizioni perchè, a loro dire, sarebbero troppo bassi. Non siamo d’accordo. In questi ultimi anni le emissioni elettromagnetiche si sono moltiplicate per l’avvento della telefonia mobile, le radio e tv private, ecc. senza un controllo preventivo degli organi statali. Oggi la normativa è molto rigorosa e prevede delle verifiche periodiche degli impianti trasmittenti. Non dimentichiamoci però dei “trucchi” che non molti conoscono. Facciamo un esempio. Un impianto per essere in regola deve irradiare un campo non superiore ai 6 Volt/metro, se situato in zone abitate. E’ possibile che i gestori di detto impianto vengano a conoscenza di una visita degli organi di controllo (ARPA, ASL, ecc.) e abbassino la potenza di trasmissione (e quindi il campo) per tutta la durata della verifica. Una volta attestata la regolarità delle emissioni, la potenza viene rialzarla a valori ipoteticamente fuori norma. Con questo non vogliamo assolutamente affermare che si tratti di una regola, ma solo che ci sono alcuni “furbi” che possono trarre vantaggio da un simile scorrettezza a discapito dei cittadini e delle istituzioni. Un utile accorgimento, vivamente consigliato a chi ospita impianti di telecomunicazione nei propri condomini o si trova nelle loro immediate vicinanze, sarebbe quello di tenere sotto controllo il contatore dell’energia elettrica: un maggiore consumo corrisponde ad una maggior potenza e quindi ad un campo elettromagnetico più elevato. Noi comunque siamo convinti che gran parte delle emissioni ritenute nocive sia causato dai grandi impianti di trasmissione delle emittenti radiotelevisive private, in quanto irradiano una potenza assai superiore al necessario, innescando quindi una reazione a catena nella corsa alle potenze. Li abbiamo definiti veri e propri “forni a radiofrequenza”.

3. La Legge Mammì

Nel 1990 venne promulgata la legge 223 (detta di Mammì che ne fu, si dice, l’estensore) che impose regole assai discutibili per poter continuare a trasmettere: potenzialità economica, presenza sul mercato, dignità di impresa. Concetti, questi, in netto contrasto con la nostra Carta costituzionale che passarono sotto il più assordante silenzio! In poche parole la legge Mammì sanciva con l’approvazione del Parlamento tutte quelle illegalità contenute nel famoso decreto “Berlusconi” (Craxi, allora capo del Governo, emanò un provvedimento per riaccendere le reti abusive del Cavaliere, giustamente oscurate dalla Magistratura nel tentativo di riportare alla legalità l’etere televisivo). Quindi una legge, la 223/90, fatta su misura su chi possedeva 3 reti televisive nazionali e che dava l’avvio, per le grosse holding finanziarie, alla colonializzazione delle frequenze, per quella che sarebbe stata una fra le maggiori speculazioni mai tentate fino a quel momento a danno della libertà di informazione. In campo radiofonico esisteva già da tempo una rete nazionale (Radio Radicale), ma dal 1990 le grandi radio private, inizialmente del nord, iniziarono ad incettare le frequenze in tutte le regioni italiane per poter costruire nuove reti nazionali commerciali. Iniziavano a nascere i “pescecani” dell’etere.

4. I pescecani dell’etere

La legge Mammì impose, per il rilascio delle concessioni, il censimento delle emittenti esistenti in quel momento, ignorando che i Circostel (organi periferici del Ministero delle Telecomunicazioni) erano già in possesso di tutti i dati necessari per identificare qualsiasi stazione radiofonica o televisiva (prima della legge di regolamentazione per trasmettere era necessario comunicare al Ministero: nome dell’emittente, frequenze, postazioni, indirizzi e responsabili!). Ma ciò non fu considerato perchè altrimenti non sarebbe circolato denaro per pagare i censimenti “giurati da un tecnico iscritto all’albo professionale” e soprattutto non sarebbe stato possibile dichiarare il falso! Proprio su questo ultimo punto ce ne sono da dire molte. Molti affaristi dell’etere (fra i quali anche piccoli imprenditori locali) colsero l’occasione per denunciare emittenti, postazioni, potenze inesistenti o incomplete rinunciando alla loro onestà di persone, solo ed esclusivamente a vantaggio del proprio denaro e per “distruggere” i loro concorrenti. Il Ministero delle Telecomunicazioni per mezzo dei Circostel però non effettuò i dovuti controlli (bastava verificare se fosse presente analoga documentazione nei propri uffici o semplicemente “leggere” i verbali di “visita in stazione”). Successivamente i Carabinieri, su ordine della Magistratura, sequestrarono tutti i dati dei censimenti pervenuti al Ministero per cui alle emittenti fu richiesto l’invio di ulteriore documentazione a conferma di quanto dichiarato sui censimenti, altrimenti non si sarebbe potuto procedere al rilascio di quelle che noi riteniamo non a torto “concessioni-burla”. E questo fu un ulteriore “regalo” agli affaristi senza scrupoli che avevano un’ulteriore possibilità di aumentare potenze, postazioni, frequenze, reti (naturalmente per frutto di pura fantasia) perchè a breve, proprio in base a queste dichiarazioni, si sarebbero rilasciate le concessioni. Proprio grazie a dichiarazioni spesso “fantasiose”, infatti, le grandi reti nazionali, desiderose di espandersi su tutto il territorio nazionale, e le multiregionali ebbero la possibilità di adottare particolari tecniche per “acquistare” nuovi spazi di trasmissione, sulla cui liceità non ci esprimiamo. Bastava accendere un trasmettitore (magari fino ad allora non operativo, ma CENSITO), anche con una potenza minima accanto alla frequenza di una piccola radio locale per indurla a svendere (nei casi migliori). Oppure, nei casi di “resistenza” all’attacco da parte dei coraggiosi titolari delle radio interferite, rendere la stessa piccola radio praticamente inascoltabile fino a decretarne la “morte” economica per poi impossessarsi della frequenza. Operazioni, queste, totalmente illecite, ma tollerate dal Ministero che, infatti, mai è intervenuto per difendere i diritti violati delle piccole emittenti, anche televisive, ritenendo valida la dichiarazione “giurata” allegata ai censimenti, anche se palesemente falsa!

5. Le concessioni-burla

La legge Mammì prevedeva che le concessioni non si sarebbero potute rilasciare in mancanza del piano di assegnazione delle frequenze. Ebbene, a tutt’oggi, non esiste un piano di assegnazione, ma esistono le concessioni!!! E’ una vera “burla” (per non utilizzare altri piu’ pesanti aggettivi maggiormente qualificanti). Praticamente le emittenti non hanno alcuna garanzia sull’uso di una determinata frequenza, ma devono sottostare al pagamento di onerosi canoni e tasse di concessione (ininfluenti per gli imprenditori), ad obblighi di informazione veramente pesanti da sostenere specie per le piccole radio e tv di provincia. Casi eclatanti su Roma: sul canale 26 UHF è stata rilasciata concessione a ben tre emittenti nel medesimo bacino di utenza (nessuna delle tre può effettuare un servizio utile, ma devono sottostare a tutti gli obblighi economici e non, pena la revoca della concessione. Senz’altro casi analoghi e forse più deleteri sono presenti in altre zone del nostro Paese.Oggi l’FM è diventata un grande centro commerciale, dove per 2 miliardi o poco più nuovi soggetti possono entrare per spadroneggiare ed arricchirsi. Tutto questo sfruttando un bene dello Stato! La vera emittenza locale è ormai un lontano ricordo. Purtroppo la situazione odierna è fatta quasi esclusivamente di reti nazionali e quelle poche locali veramente libere e indipendenti hanno vita assai dura. Il Ministero delle Comunicazioni continua ad inviare a centinaia di emittenti delle cartelle esattoriali per il versamento dei canoni di concessione pregressi. Si tratta di richieste di 20-40 milioni di vecchie lire che arrivano fra capo e collo soprattutto alle piccole realtà locali ancora esistenti (radio e tv di piccoli comuni, comunità montane, circoli ricreativi e culturali) che rischiano di perdere il loro essenziale e spesso unico mezzo di comunicazione. Parlare di truffa ed estorsione non è certo un’esagerazione! E’ logico dedurre che si sta continuando a perseverare sempre con più energia e protervia alla completa distruzione della libertà di antenna. Nel corso degli anni successivi all’emanazione delle leggi di regolamentazione centinaia e centinaia di emittenti sono infatti state costrette al silenzio.

6. La situazione attuale

Oggi l’FM è diventata un grande centro commerciale, dove per 2 miliardi o poco più nuovi soggetti possono entrare per spadroneggiare ed arricchirsi. Tutto questo sfruttando un bene dello Stato! La vera emittenza locale è ormai un lontano ricordo. Purtroppo la situazione odierna è fatta quasi esclusivamente di reti nazionali e quelle poche locali veramente libere e indipendenti hanno vita assai dura. Il Ministero delle Comunicazioni continua ad inviare a centinaia di emittenti delle cartelle esattoriali per il versamento dei canoni di concessione pregressi. Si tratta di richieste di 20-40 milioni di vecchie lire che arrivano fra capo e collo soprattutto alle piccole realtà locali ancora esistenti (radio e tv di piccoli comuni, comunità montane, circoli ricreativi e culturali) che rischiano di perdere il loro essenziale e spesso unico mezzo di comunicazione. Parlare di truffa ed estorsione non è certo un’esagerazione! E’ logico dedurre che si sta continuando a perseverare sempre con più energia e protervia alla completa distruzione della libertà di antenna. Nel corso degli anni successivi all’emanazione delle leggi di regolamentazione centinaia e centinaia di emittenti sono infatti state costrette al silenzio.

7. Etere impoverito

Le norme liberticide contenute nelle leggi attuali e il comportamento scorretto e mafioso di alcuni “vivaci” imprenditori e funzionari del Ministero delle Comunicazioni hanno condotto alla morte migliaia di radio e tv locali autenticamente “libere”, negando ai cittadini il diritto costituzionale alla libertà di espressione del pensiero. Sono ormai un lontano ricordo quelle notturne radiofoniche in compagnia della musica napoletana, ai salutini, agli auguri, alle dediche, agli strafalcioni di conduttori dall’istruzione approssimativa che tanto criticavamo, ma ai quali nel contempo davamo tanta importanza se non altro per la forza di aggregazione sociale che riuscivano a suscitare negli ascoltatori; i notiziari del piccolo Comune sperduto fra le montagne dell’Appennino Centrale, le informazioni strettamente legate al territorio, i Consigli Comunali, i dibattiti incentrati sulla necessità di dotare una piccola frazione di un altrettanto piccolo centro di provincia di una palestra o di una mensa; le trasmissioni di eventi sportivi, ricreativi, folcloristici, culturali, religiosi legati ad un territorio (non importa se solo di 2 km. di raggio). Non c’è più traccia di tutto questo. L’entusiasmo di centinaia di giovani che imparavano divertendosi a fare radio e televisione si è oggi spento, rendendo questi più poveri dentro e magari relegati ad una vita insignificante, vuota e noiosa. Tutto ciò per leggi incostituzionali che hanno letteralmente cancellato una delle più belle ed importanti esperienze che il nostro Paese possa ricordare che ha costituito un’autentica lezione di democrazia e pluralismo rivolta al mondo intero!

8. Impossibile dar voce ad altre Radio

Dal giorno dell’emanazione della Legge Mammì (23 agosto 1990) lo Stato italiano di fatto impedisce la nascita di nuove radio e tv locali, mettendosi in contrasto con il diritto sancito dall’articolo 21 della nostra Costituzione che garantisce la libera espressione del pensiero attraverso qualsiasi mezzo.
L’unico modo per entrare nel settore consiste nel rilevare un’emittente regolarmente censita, con tutti gli oneri previsti dalla normativa in vigore: costituzione di una società di capitali, assunzione di dipendenti, e via dicendo. In poche parole un cittadino che volesse dar spazio alla propria voce in una città quale Roma sarebbe costretto a sborsare oltre 1 miliardo di (vecchie) lire! MA LA LIBERTA’ NON DEVE AVERE PREZZO: E’ UN DIRITTO!
Da questa situazione emergono e speculano sempre i soliti “padroni” dell’etere che in pochi anni sono riusciti a concentrare nelle proprie mani gran parte delle frequenze disponibili riuscendo, altresì, a costruire nuove reti nazionali! Chi ha denaro può tutto, persino violare le leggi che, invece, tutti gli altri devono rispettare anche se palesemente lesive della libertà su cui si fonda la nostra Nazione!

28 Ottobre 2005

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